Dagli inizi dell’umanità le donne hanno sempre partorito, in condizioni più o meno favorevoli, ma sempre nell’ottica d’ interpretare il parto come un evento fisiologico, normale, in sintonia con i ritmi del corpo femminile.
La spontaneità e la naturalezza del parto, sono aspetti da proteggere, contro l’eccessiva medicalizzazione che rischia di trasformare il parto in qualcosa di patologico. Il dolore, spesso demonizzato, come qualcosa che deve per forza essere messo a tacere, è anch’esso naturale, poiché fa parte dell’esperienza, in misura maggiore o minore. Una nuova parola, oggi ha preso campo, in riferimento alla percezione del parto, una parola in contrapposizione al concetto sterile di medicalizzazione e cioè “umanizzazione” del parto, per recuperare il legame primordiale tra madre e figlio, e anche il legame con le proprie radici in termini esistenziali.
In un parto naturale la donna è protagonista attiva del suo destino, si affida ai medici, quanto basta per la buona riuscita del parto, senza consegnarsi passivamente nelle loro mani.
Le tappe di un parto naturale iniziano con la corsa in ospedale, che coincide con l’inizio del travaglio, definito periodo prodromico, durante il quale si avvertono le prime contrazioni uterine involontarie, che pian piano assumeranno un andamento ritmico. In questa fase si avvertono i primi dolori al basso ventre, avviene la perdita del tappo mucoso e si hanno i primi mutamenti del collo dell’utero.
Questa fase può durare due, tre giorni ma anche poche ore. Successivamente la donna entra nel periodo dilatante, durante il quale aumentano le contrazioni involontarie che andranno a provocare l’apertura della cervice. Le contrazioni sono ritmiche, in crescendo, di una durata che varia dai 30 ai 60 secondi, ma sempre intervallate da uno spazio di tempo sufficiente, per recuperare fiato e rilassarsi. Le contrazioni spingono pian piano il collo dell’utero a dilatarsi, che diventa pronto per il parto quando raggiunge un diametro di circa 10 cm.
Il periodo dilatante può avere una durata più o meno lunga, dalle 6 alle 14 ore. Il periodo espulsivo inizia con la dilatazione completa della cervice e termina con l’espulsione del feto. In questo stadio la donna è chiamata ad assecondare e accompagnare le contrazioni uterine involontarie con contrazioni volontarie, allo scopo di effettuare la famosa spinta che aiuterà il feto a progredire attraverso il canale del parto. Ogni spinta deve essere protratta il più a lungo possibile.
Quando il feto si affaccia all’imboccatura della vagina, i medici, ostetrica o ginecologo, aiutano il bambino a uscire. La durata del periodo espulsivo varia da 20-40 minuti, a 2-3 ore. Generalmente le donne che hanno già avuto parti in precedenza, impiegano un tempo minore, ma non è sempre scontato, poiché dipende dalla forma anatomica della futura mamma e dalla sua partecipazione attiva al parto.
Dopo l’espulsione del feto abbiamo il periodo del secondamento, nel quale avviene il taglio del cordone ombelicale, lo scollamento e la successiva espulsione della placenta. La placenta in seguito ad altre contrazioni si distacca e scende nel canale uterino, da lì nella vagina, e infine si riversa all’esterno. Il distacco della placenta lascia una lacerazione sulla parete interna dell’utero e questo provoca una forte perdita ematica, che pian piano si arresterà da sola. La placenta può essere espulsa in modo spontaneo oppure attraverso una spremitura dell’addome. Questa fase definita post-partum ha una durata di circa due ore, e richiede attenzione soprattutto per evitare complicanze da un punto di vista emorragico.
Il parto è un momento di separazione, la creatura che abbiamo tenuto in grembo per circa nove mesi, viene al mondo, uscendo dal corpo materno, e iniziando una propria vita, come individuo. Ma nonostante questo il neonato, al momento della nascita, viene pulito velocemente e riconsegnato subito fra le braccia della madre, e del padre, che volendo ha seguito ogni istante del parto, supportando la compagna. Se non vi sono state complicanze dunque la mamma e il bebè potranno stare subito assieme, per costruire una nuova relazione madre-bambino. Fin da quel momento il neonato attiverà ogni suo senso per riconoscere la madre, e poco dopo in modo spontaneo cercherà il seno materno e con ogni probabilità vi si attaccherà.
Il liquido amniotico in cui il bambino ha vissuto fino al momento del parto, pare abbia un odore simile a quello del latte, ecco perché cerca per istinto qualcosa che conosce già. Il bambino/a che stringerete fra le braccia darà senso ad ogni vostro dolore.